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Il genio, il talento, sono fandonie strutturate per spingerci a desistere.

Non mi viene difficile da credere che una data predisposizione innata esista in ciascuno di noi.

Il resto però è dato tutto da intenso studio e sacrifici enormi; da abbondanti lacrime, copiose; da batticuore e angosce distruttive; dal sangue versato a fiotti (o dal sangue che scarseggia…).


Disse forse Einstein che il genio è 5% talento e 95% duro lavoro. Le percentuali saranno pur variabili, ma il nocciolo è questo.

Arriva una manna dal cielo, però devi dimostrare di meritarla. Ed è questo il macigno che grava sulle tue spalle; ma anche un onore immenso, se trasportato con coscienza.


È comune venerare il genio, è intuitivo lodare il merito.

Meritocrazia che nell’Italia di Dante è stata condannata all’inferno.


E di Dante cosa ammiriamo?

Il talento riversato nella Commedia.

Ma c’è altro.

Profondo studio dei classici e della teologia.

È da lì che giunge l’ispirazione…

“Dal più ampio giardino del paradiso, puntellato di perle ed angeli, scendeva una scala fatta di oro e di argento. Non si è mai visto un oggetto altrettanto meraviglioso.”
(Citazione non letterale).

È un estratto dell’opera di Alighieri?

In realtà no…

Si tratta del viaggio del Profeta Muḥammad verso il Paradiso, intrapreso nell’arco di una notte, (proprio il Profeta Maometto, relegato all’inferno dallo stesso Dante…)

Sono molti i punti in comune tra l’Opera sacra islamica, estratta dal Corano, e la sacra per noi Commedia risalente all’epoca medievale.

Per approfondire il confronto vi lascio l’articolo: Dante, la Commedia e la Scala di Maometto – Focus.it.

Questo non nega o sminuisce la cultura e l’impegno di Dante: anzi, li rafforza. 

Il talento è percepito come un dono divino, forse immeritato.

Il lavoro duro e tutto quanto contribuisce a creare il genio vanno rispettati in quanto merito proprio del soggetto, un merito che gli apparterrà per sempre e che nessuno dovrà negare.

L’importanza delle parole

Le parole sono importanti perché plasmano le nostre opinioni e di conseguenza le nostre azioni.

Per una semplice “svista” letterale, quanti talentuosi della storia associamo inconsapevolmente a personaggi “favoriti” da una forza maggiore, sia essa divina oppure fortuita?

Da Vinci tra i primi; Goethe con la ricchezza del suo vocabolario; Edison e le sue innumerevoli invenzioni; Bell per il suo fotofono; Swedenborg, grandissimo scienziato e filosofo.

Ad alcuni sarà venuto in mente pure Shakespeare, ed anche sul suo personaggio desidero aprire un discorso molto presto…


Ce ne sono tantissimi e non serve citarli tutti.

Il rischio di questa etichetta per nulla precisa implica il sorgere di una certa invidia, più o meno accentuata a seconda del grado specifico di ignoranza. 

Attenzione: non tutta l’invidia è malvagia; esiste anche un’invidia sana, quella che sprona gli individui ad impegnarsi per raggiungere i medesimi obiettivi, o addirittura superarli.

Qui l’invidia raggiunge l’ammirazione, ed è un gran bene.

Ma se questo sentimento rimane sporco, non compreso, allora marcisce ed arriva a nuocere i talentuosi (o meglio, studiosi). Perché i leoni da tastiera esistono celati dietro i dispositivi smart ma pure nella vita reale. Può trattarsi di un collega di lavoro oppure del vicino di casa. O di entrambi.

E dunque la cultura viene soffocata per una banale imprecisione. Un nonnulla capace di generare conflitti e sofferenza.

Ed allora ciò che può davvero salvarci è proprio quella cultura immateriale, così eccessivamente calpestata, sminuita ed annichilita, i cui fondi sono ridotti allo stremo senza che questo fatto generi scalpore alcuno.

Il genio denigrato

Aspettiamo impazienti le benedizioni dei geni ma quando questi provano a destreggiarsi: se va bene non siamo in grado di riconoscerne il merito; se va male li colpiamo impedendo loro di creare quanto ancora potrebbero.

Il talento del passato non sempre è compreso; il genio del presente viene denigrato.

Ma non è talento e non è genio: è solo sacrificio. Eppure il male ci mette la coda pure lì. Per ignoranza, invidia, gelosia, rammarico, pura malvagità; quello che sia.


Quando il nostro ingegno ci ha permesso di giungere all’odierna quotidianità, attraversando territori ostili in cui siamo riusciti a sopravvivere; giungendo a costruire utensili e rifugi sicuri; realizzando le sette meraviglie del mondo antico (tra le quali rimangono le maestose piramidi a testimonianza); inventando la scrittura e dando il via all’attuale storia; raggiungendo posti sperduti con mezzi di trasporto sempre più rapidi, attualmente immediati. E dunque quando dopo tutte queste prove culturali essenziali a sostenere e permettere il nostro stile di vita, ancora non riusciamo a snocciolare il fenomeno a dovere.


Grazie ai geni una fetta importante di popolazione vive nell’agio ed è proprio quella stessa fetta che restituisce indifferenza ai suoi avi così onorabili.Non fosse stato per i tentativi, la pratica, le esercitazioni, lo studio, gli approfondimenti e l’olocausto non avremmo nulla da spartire, saremo ancora relegati a lanciarci le pietre l’un l’altro. 

Cosa che in realtà facciamo tuttora, seppur con mezzi diversi.

E quindi di geni non ne abbiamo avuti ancora a sufficienza. Perché nessuna grande opera, non tutte le opere nel loro insieme, sono riuscite a sradicare quanto c’è di sbagliato e ingiusto.

Conclusioni

Come sempre, questi viaggi nella mia mente desiderano essere l’invito (valido in ogni contesto della vita), a non fermarvi mai alle apparenze, alle credenze comuni, alle dicerie, alle nozioni scontate. E di non accontentarvi neppure delle verità date per consolidate e certe. Perché basta un soffio per farle crollare.


Non lasciamoci limitare ed imprigionare nella trappola meschina e malvagia, appositamente messa a punto dalla società umana.Bisogna andare a fondo, indagare, riflettere.


Studiando ne verremo fuori?

Molto probabilmente no, non senza una preziosa manna dal cielo.

Ma almeno potremo guardarla negli occhi per quella che è: l’opera di subdoli demoni.

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